L’INTERVISTA – Daniel Bertoni a Il Mattino: “Maradona è riuscito a essere l’Argentina”
Daniel Bertoni, allenatore ed ex calciatore del Napoli, ha parlato in un’intervista Il Mattino, in cui, fra le altre cose, ricorda i tempi in cui giocava in azzurro con Maradona.
Sono un bel traguardo, i 70 anni.
«Assurdo. Alla Fiorentina lo perdo all’ultima giornata: alla Juventus danno il rigore che Brady trasforma a Catanzaro e a noi a Cagliari annullano la rete di Graziani. Poi mi vuole la Roma, perché Dino Viola sogna la coppia con Falcao, ma Pontello si impunta e dice di no. E i giallorossi vincono il titolo. Poi devo scegliere: il Verona o il Napoli? Scelgo Diego Maradona, cos’altro avrei dovuto fare. Noi arriviamo ottavi e Osvaldo Bagnoli conquista il titolo. E non è finita. Io vado via dal Napoli e gli azzurri trionfano».
«No, non decise lui ma Bianchi con cui litigavo sempre. Ma Diego non fece nulla per convincere Allodi a tenermi».
«Bambino, ala destra in quello che oggi diremmo era un 4-3-3. Ricordo le urla: “Pumba, pumba” che vuol dire “attacca, puntalo”. Mi emoziona il pensiero…».
«Maradona è riuscito a essere l’Argentina, la sua anima fredda e tragica e quella calda. Era diventato un leader venendo a vedere le gare del mio Independiente dove c’eravamo io, el Bocha Bochini, El Chivo Pavoni. A Napoli a ogni punizione era una discussione con lui a chi calciare: erano come rigori. Con l’Arezzo in Coppa Italia lo anticipai e segnai. Venne vicino minaccioso: “non lo fare più”».
«Nessuno di noi immaginava che tanti ragazzi erano lì che morivano a Campo de Mayo o alla Escuela de Mecanica de l’Armada. Mai avrei giocato quel mondiale se avessi saputo che la dittatura di Videla stava sterminando una intera generazione. Segnai il gol in finale all’Olanda, ma quello più importante lo feci all’Ungheria nella fase a gironi».
«Le menzogne. Prima del Mundial in Spagna era scoppiata la guerra per le Maldivas. E io, che vivevo già a Firenze, sapevo che stavamo perdendo e che avevamo tutti contro, anche il Cile e gli Usa. Mio padre José, era un patriota e mi parlava della battaglie vinte contro gli inglesi perché sentiva la tv: “Papà, ma che dici? È un disastro”. Il vero rimpianto è che avremmo dovuto dire di no alla partecipazione a quel mondiale. Perché allora sapevamo, nel ‘78 no».
«Ho una immagine particolare: mio padre e il suo vicini a vederci allenare sugli spalti del San Paolo. Sempre. Don Diego confidò anche le difficoltà economiche del figlio dopo aver lasciato Barcellona, anche le sofferenze personali».
«Signorini, José Alberti venivano spesso a casa mia. Ma anche con Pesaola ci incontravamo a cena. Il Petisso spiegava che il suo soprannome era legato al fatto che “era stato un ragazzino vivace”. Ma noi sapevamo che era per la sua altezza. L’idolo argentino di allora dei napoletani era Omar Sivori. Me ne parlavano tutti. Come a Siviglia, erano tutti ai piedi di Di Stefano».
Chi è stato il suo idolo?
