Zuniga ed il retroscena sul mancato passaggio alla Juve: “Vi spiego perchè ho cambiato idea”

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Juan Camilo Zuniga, ex calciatore del Napoli, ha parlato in un’intervista a La Gazzetta dello Sport, sottolineando fra le altre cose un aneddoto che riguarda un momento in cui fu molto vicino alla Juve. “Camilo Zuniga si gode il buen retiro a Medellin sorseggiando mate. Quando risponde è mattina presto in Colombia, lui è già in auto direzione campo con il matero pieno. Un menisco malconcio l’ha costretto a fermarsi a 33 anni, il calcio però non l’ha mai abbandonato: “Con la Fundacion Zuniga seguiamo 150 ragazzi che sognano di diventare professionisti. Arrivano da ogni angolo del Paese, qualcuno ha un passato difficile. Vivono, studiano e giocano nel nostro centro sportivo. Proviamo a regalargli un futuro migliore”. Dopo una carriera passata a fare su e giù per la fascia, l’esterno colombiano ha scelto di rallentare per dedicarsi alla famiglia: “Volevo avere la libertà di giocare su un prato con i miei figli, senza sentire dolore al ginocchio”. Nella nuova vita dell’ex Napoli non c’è soltanto il pallone: “Da calciatore facevo già investimenti, oggi sono un imprenditore. Gestisco un’impresa edile e una fattoria. Con l’azienda agricola produciamo latte ed esportiamo frutta e pomodori in tutto il Sudamerica”.

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Tante attività, tutte diverse. Di certo, non si annoia.
Seguo i tutor della Fondazione, poi mi divido tra i cantieri e la fattoria. Abbiamo un ranch con decine di mucche ed ettari di campi coltivati. Vendiamo all’ingrosso, io gestisco i contatti con i fornitori e supervisiono la produzione. Sono sincero, il calcio mi manca. Vorrei correre, dribblare e tirare come facevo una volta”.
Invece deve accontentarsi di guardare le partite in tv.
Anche dalla Colombia non mi perdo una gara del Napoli, faccio il tifo per gli azzurri. La città è rimasta nel mio cuore, così come i tifosi. Sui social, ancora oggi, mi arrivano tantissimi messaggi. Mi amano e io amo loro. E quest’anno…”.
Zuniga mentre beve il Mate, bevanda sudamericana
Su, finisca la frase.
“Conte è un grande allenatore, la società è solida. In campo i ragazzi hanno grinta. Spero che a maggio possano festeggiare un altro scudetto”.
Napoli è stata casa sua per sette anni.
“La prima cosa che ho pensato quando sono arrivato in città è stata: ‘Ecco, finalmente mi sento come in Colombia’. La nostra cultura è molto simile a quella napoletana. Tutti sorridono, provano ad aiutarti, sono dalla tua parte. Prima ero a Siena, mamma mia, che freddo lì…”.
Era il 2008, Giampaolo allenatore e in squadra Maccarone, Calaiò, Amoruso.
Giocammo un grande campionato. In estate mi volevano la Juve e il Valencia. Ma quando il mio agente mi ha parlato del Napoli non ho più avuto dubbi”.
È arrivato in un gruppo di campioni: Lavezzi, Hamsik, pure un giovanissimo Insigne.
C’erano tanti sudamericani: Denis, Bogliacino, Campagnaro. Per colpa loro adesso bevo sempre mate. A inizio stagione Donadoni andò via, al suo posto arrivò Mazzarri. Con lui mi sono trovato benissimo, è stato come un padre. Ha iniziato a farmi giocare esterno a sinistra nel 3-5-2. E pensare che da piccolo in Colombia ero un 10…”.
A Napoli però avevate il Pocho lì davanti.
È un loco, completamente matto. Pure in campo. Durante le partite, quando aveva il pallone, si avvicinava e mi prendeva in giro: ‘Dai, prova a rubarmelo’, scherzava. Uscivamo sempre insieme, io volevo mangiare la pizza, lui organizzava le grigliate con l’asado. Ci divertivamo tantissimo, siamo ancora molto amici. Quante ne abbiamo combinate…”.
Allora ce ne racconti una…
“Bocca mia, taci… Pocho è il migliore, forse soltanto Armero è più loco di lui. Dopo una serata insieme a loro due puoi finire al manicomio oppure in prigione (ride, ndr)”.
Nel 2011 il Napoli torna in Champions dopo 21 anni, grazie a un suo gol contro l’Inter.
“Finì 1-1, segnammo io ed Eto’o. Ero un ragazzino che giocava per strada in Colombia e mi sono ritrovato a sfidare Manchester City, Bayern, Chelsea. Quella musichetta ce l’ho ancora nella testa”.
L’anno successivo conquistate anche la Coppa Italia battendo la Juventus.
Immaginate cosa significa superare i bianconeri e vincere un trofeo a Napoli dopo più di 20 anni. I tifosi erano pazzi di gioia. Io ero felicissimo, stavo vivendo un sogno. Mi volevano tanti top club”.
È vero che nell’estate 2013 aveva scelto di andare via?
Mi aveva cercato il Barcellona, poi ancora la Juve. Avevo trovato un accordo con Marotta, mancava soltanto la firma. Vuole la verità? Ho cambiato idea in campo”.
Cioè?
Era appena arrivato Benitez, giocammo un’amichevole precampionato al San Paolo contro il Galatasaray. I tifosi mi fischiavano, lo stadio era pieno. Faccio gol e alzo le braccia per chiedere scusa. I fischi continuano. Poi parte il coro ‘Chi non salta juventino è’. Così inizio a saltare”.
È stato un segnale per tutti. Perché ha scelto di restare?
Per la gente. I tifosi mi volevano bene, non potevo tradirli. Li ringrazierò a vita per tutto l’amore che mi hanno dato”.
Com’era il suo rapporto con De Laurentiis?
Su di me giravano tante voci, soprattutto quando ho iniziato a giocare meno. Ho sempre rispettato il presidente e la società. Sono grato a loro per avermi dato l’opportunità di vestire la maglia azzurra”.
Quel menisco malandato non l’ha mai lasciata in pace.
I problemi al ginocchio sono cominciati quando ero piccolo. Un dottore in Colombia mi disse: ‘Tra 10 anni non riuscirai più a giocare’, così è stato. Ho vissuto un periodo complicato. Ma ho sempre amato il calcio, anche adesso prenderei il pallone e inizierei a correre. Ma nel 2013 non riuscivo neppure ad allenarmi”.
Riesce a tornare in campo a fine campionato, giusto in tempo per il Mondiale in Brasile.
Il c.t. Pekerman mi voleva a tutti costi. È stato un torneo storico per il nostro Paese. Siamo arrivati ai quarti, nessuno ci era mai riuscito. Ci fermò soltanto il Brasile”.
Di quella partita tutti ricordano il suo contrasto con Neymar. Lui che esce in barella, piangendo, con una vertebra rotta.
“Per me, tutto è finito in campo. Siamo professionisti, è stato uno scontro di gioco. Non volevo fargli male. Lui era magrolino, io robusto. Può capitare”.
Qualche anno dopo, Neymar ha detto che per quel colpo ha quasi rischiato di non poter più camminare.
“È stato il suo primo infortunio importante. Per di più in un Mondiale davanti alla sua gente. Era l’idolo di casa, io il carnefice. Ho beccato tanti insulti. Poi ci siamo sentiti, per fortuna è tornato a giocare. È sempre stato uno dei miei preferiti”.
Nonostante il risultato storico, quando torna a Napoli resta in panchina.
Non ero più il Camilo Zuniga arrivato da Siena, quello allenato da Mazzarri, che volevano Juve e Barcellona. Il ginocchio non è più guarito. Napoli era una squadra troppo forte per un giocatore nelle mie condizioni. Non potevo più aiutare il gruppo”.
Ecco perché è andato in prestito al Bologna. Lì però ha vissuto un altro momento complicato.
Mio padre era venuto in Italia per alcune visite. Ha cominciato a stare male ed è morto poco dopo. È stata la fine del mondo, era tutto per me. Sono diventato un calciatore grazie a lui. In quel periodo volevo smettere”.
Come ha trovato la forza di reagire?
La famiglia mi è stata accanto. Mi hanno convinto a riprovarci e a continuare. Ormai però avevo perso la fame”.
Zuniga nel cantiere della sua fattoria
Dopo la parentesi al Wolverhampton con Mazzarri è infatti tornato all’Atletico Nacional.
Avrei potuto giocare altri due anni, ma il ginocchio continuava a peggiorare. Grazie a Dio il calcio mi ha portato dove volevo, era inutile soffrire ancora. Nel mio Paese avevo già delle attività, volevo diventare un imprenditore e godermi a pieno il tempo con moglie e figli”.
Ce l’ha fatta. E ora?
Vorrei tanta salute per me e la mia famiglia, soltanto questo. Mi sento fortunato per quello che ho. Vivere una lunga vita accanto a loro è tutto ciò che desidero”.
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