Da Presidente, Di Natale si racconta ai suoi ragazzi della “Donatello: “Baggio il migliore di tutti”
Di Natale da bomber a presidente: "La mia Donatello è un'impresa romantica"
Nella morbidezza di quel palleggio, in quelle “carezze” dispensate con quella faccia da amabile scugnizzo, Totò Di Natale è stato il cantore d’un calcio affascinante racchiuso nelle veroniche o in parabole da mille e una volta ancora. E in quel tempo così lungo – 20 anni esatti, 686 partite, 300 reti, due titoli di capocannoniere, il sesto goleador di sempre in Serie A – in ogni volée, in quei “tiragiro” da estasi, la soffice dolcezza di quei gesti emanava il calore che s’avverte anche ora, mentre dribblando il passato da stella abbagliante Totò s’è inventato un destino da rabdomante alla ricerca di emozioni che restino.
Il presidente della “Donatello”, Totò Di Natale, cosa racconta ai suoi allievi di Totò Di Natale calciatore?
“Il primo viaggio in treno, da Castello di Cisterna ad Empoli: da solo. Avevo tredici anni, ho avuto la fortuna di incontrare uomini che mi hanno formato – penso a Lorenzo D’Amato prima; poi a Fabrizio Corsi, a Giampaolo Pozzo – e mi hanno consentito di diventare ciò che sono stato”.
Uno dei più belli esemplari del calcio italiano del Terzo Millennio, se consente.
“Ma anche uno che quando arrivò in Nazionale, la prima volta, vide a tavola tutti assieme Del Piero, Totti, Montella, Inzaghi, Cannavaro, Maldini, Buffon, Nesta e disse: e che ci faccio qua?”.
Il “poeta“ Di Natale che fa: dispensa rime baciate, sonetti?
“Consigli pratici: siate ciò che volete essere, evitando di dare ascolto – ma calcisticamente – ai familiari, perché chiunque pensa di avere un Maradona in casa. Divertitevi, impegnatevi, allenate il talento se ce l’avete oppure immergetevi nella fatica: vi farà bene”.
La “Donatello” – come la chiamano – è una scuola.
“Nel 2013 si trovò in difficoltà, mi chiamò Simone Ronco e mi tirò dentro. Ora sono il presidente di una azienda piena di sentimenti e con una sessantina di persone che si industriano affinché si possa costruire qualcosa, anche una speranza: ci sono più o meno 230 ragazzi, tre campi di calcetto a nove, uno invece è regolamentare, lavori di ristrutturazione rifatti e Renato, il segretario, ha 90 anni, da 37 sta qua. Siamo un’impresa romantica”.
Producete calcio.
“Meret ha cominciato qui, anche Scuffet, pure Vicario, anche Petagna, Crisetig, Padoin. C’è una tradizione che va avanti, principi che resistono: io lasciò libertà, tanta, intervengo se serve. Vivo a Empoli ma ogni due settimane abbiamo una riunione, ci confrontiamo, verifichiamo le necessità, le urgenze”.
Empoli è la sua culla.
“Ho lì la residenza e con Fabrizio Corsi abbiamo un accordo triennale: l’Empoli ha la precedenza sui nostri giovani. Io sono grato all’Empoli e ci mancherebbe; come lo sono a Udine e all’Udinese, che ho scelto per giocarci fino all’ultimo dei miei palleggi”.
Nel 2010 segna 29 gol, vince la prima delle due classifiche dei cannonieri, ha 32 anni e può andare dove vuole. La chiamano nell’ordine il Napoli, la Juventus, la Fiorentina e anche il City.
“Avevo appena firmato il rinnovo con l’Udinese e non ho mai avuto la tentazione di tradire quell’accordo con Giampaolo Pozzo. Né ho poi avvertito il pentimento di quella decisione. Volevo stare a Udine, chiudere qua la mia carriera. Così è andata”.
E cominciare una esistenza nuova, con la “Donatello”.
“Ho investito nel settore immobiliare, in Toscana. Per un po’, ho pensato di fare l’allenatore ma 20 anni di ritiri sono stati più che sufficienti. Poi ho visto negli occhi dei bambini, qua, la speranza. Io non so cosa possa dar loro, se non qualche suggerimento”.
Le basterà fargli vedere ciò che ha mostrato con quella 10 addosso: 209 gol in serie A, il sesto bomber di sempre.
“A me non piace raccontarmi. Sono fiero di essermi realizzato, vorrei accadesse a qualcuno di questi ragazzi adesso per avvertire quel senso di appagamento di averli in qualche modo aiutati. Noi adulti abbiamo il dovere di inviare i messaggi giusti”.
Così, per confessarsi un po’: l’allenatore che ha segnato il suo percorso?
“Silvio Baldini, che all’Empoli ha indicato la via giusta a me, ai Marchionni, ai Maccarone a chi inseguiva il grande calcio”.
Il migliore calciatore per Totò Di Natale chi è stato?
“Baggio. E nessuno, penso, abbia da ridire”.
E Di Natale ha ricevuto qualcosa in meno da quella sua genialità seducente?
“Penso persino l’esatto contrario: ho ottenuto più di quanto pensassi, ritengo di essere stato fortunato, ho avuto in rapporto al mio valore e sono assolutamente soddisfatto”.
Torni su quel treno, all’età di tredici anni.
“Il distacco dalla famiglia fu doloroso. Ma viaggiavo e ignoravo la metà. Oggi che ho smesso da un po’, dico a me stesso che è andata benissimo, di lusso. Sono stato in un calcio fantastico, penso tecnicamente superiore a quello attuale. Mi sembra che la qualità si sia abbassata, vado per campi, tante volte la B, e mi accorgo che ce n’è di meno. Ma non scriva rispetto ai miei tempi è cambiato: penseranno che sia un vecchio e io invece sono un ragazzo che si è tuffato in questa sua nuova esistenza, circondato da fanciulli”.
Fonte: Gazzetta
