«Seguo solo il Napoli come il peggiore dei tifosi» confessa divertito lo scrittore Lorenzo Marone, parlando di una passione che, a casa sua, si tramanda di generazioni. Intervista e foto de Il Mattino:
Il primo ricordo azzurro?
«È qualcosa di ancestrale: con mio nonno ascoltavo la partita alla radiolina».
Per l’ultima partita era allo stadio?
«No, davanti alla tv, a casa di amici. Che meraviglia: quest’anno è un crescendo, la squadra oggi ha forza e struttura anche nel gioco. Inizio a crederci…».
Favoloso il secondo tempo del Napoli che ha superato in rimonta la Juve. Ancora una volta, sull’ottovolante.
«Neanche fino in fondo. È stato così con Spalletti, però questa squadra dà sicurezza grazie a un allenatore veramente straordinario: al di là della tattica, Conte è riuscito a rivalutare giocatori che sembravano finiti, a dare una carica…».
Così Napoli si è innamorata di uno “juventino”.
«Su questo sono uno sportivo, le rivalità non mi toccano: si tratta di professionisti».
Professionisti in grado di riaccendere un sentimento: passione presto ritrovata. Napoli è la sua squadra.
«Ma, tra il napoletano e il Napoli, il senso di appartenenza e di orgoglio va oltre, questo l’aspetto più interessante: mi chiedo spesso perché ci sia, poi, discrepanza tra il trasporto per la squadra e l’amore per la città, nel quotidiano».
Napoli è la sua squadra, anche nel sogno di rivalsa. 
«Ma l’amore nei confronti della città è molto più labile e così viscerale che porta i napoletani a perdere lucidità, a non vedere i mali, dalla microcriminalità ai ragazzi sbandati, e ad abdicare alla critica e all’autocritica necessaria per aggiustare le cose. Sarà che io, arrivato a 50 anni, vorrei una città più a misura d’uomo…».
Resta che la città che ha bisogno di simboli in cui identificarsi. Da Maradona, da sempre è così.
«È tipico dei popoli del Sud del mondo aggrapparsi a qualcosa che possa portare al riscatto, anche personale, quando la vita non è pienamente soddisfacente».
Qual è la lezione di vita da trarre?
«De Laurentiis ci dice che, se si fanno bene le cose, si può vincere, e avere successo. E, ora, Napoli dovrebbe prendere la mentalità che Conte ha portato, innanzitutto quella del lavoro, come lui stesso ha ribadito anche dopo il match: il risultato non è frutto del caso, bisogna rimboccarsi le maniche. Bello che questo discorso venga fatto da un uomo anche lui del Sud».
Vuol dire andare oltre il fatalismo, il “tirare a campare”.
«Quando si parla di Napoli ogni cosa può diventare stereotipo e retorica, ma non lo è mai. Perché è tutto vero, come è vero che la città resta divisa in due: popolazione e modi di vivere diversi».
Ma è unita da una fede assoluta…
«Il calcio unisce, non solo allo stadio: il dottore e il portiere si ritrovano a parlarne sotto casa; è un collante strepitoso».
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