“Giaccherinho? Lo son diventato grazie ad Antonio”. Il ringraziamento dell’ex azzurro
È stato uno dei grandi simboli del “contismo”. E per questo Emanuele Giaccherini anche oggi che ha lasciato il calcio giocato diventando opinionista di Dazn, parla del suo ex allenatore come uno dei punti di riferimento della sua vita da calciatore. «Mi ha allungato la carriera. E forse me l’ha resa anche migliore», scherza, ma fino a un certo punto. Prima alla Juventus, poi in Nazionale, la parabola di Giaccherini ha raggiunto picchi altissimi proprio quando è stato agli ordini di quello che oggi è l’allenatore del Napoli. Il Napoli, appunto, che pure è stata una parentesi della carriera di Giak.
E allora leviamoci subito il dente e partiamo proprio dal Napoli. «Lo considero un grandissimo rimpianto della mia carriera. Quando è arrivata la proposta del Napoli di Sarri dissi subito sì. Sapevo che sarei andato in una piazza passionale, la casa di Maradona. Speravo potesse essere una lunga avventura».
E invece? «Mi sarebbe piaciuto essere più protagonista. Non mi rimprovero nulla perché so di aver dato tutto. E per questo per me è stato un po’ inspiegabile. Hamsik, Allan e Zielinski erano grandissimi campioni ma non credo fossero più forti di Pirlo, Marchisio, Vidal e Pogba. Alla Juventus ho fatto 55 partite tra Champions e campionato, a Napoli non ho avuto questa possibilità. Magari anche per un equivoco tattico: facevo il vice Callejon, ma José aveva caratteristiche tattiche diverse».
Guardiamo il bicchiere mezzo pieno... «Ho giocato in un Napoli forte che si è conteso lo scudetto con la Juve per due anni. Avevamo grandissimo talento e qualità. A un certo punto giocavano a memoria. Entravo a metà del secondo tempo e la partita era già finita da un pezzo. Ma mi divertivo tantissimo perché si giocava a uno due tocchi. È stata un’avventura bella anche fuori dal campo con dei tifosi fantastici».
Come racconterebbe i suoi Napoli-Juve? «È sempre una partita speciale per i tifosi del Napoli che la aspettano tutto l’anno. Con la maglia della Juve ci ha dato quella consapevolezza di essere vincenti. Eravamo la squadra da battere. Mentre con il Napoli dovevamo dimostrare di essere al pari di quella Juventus che sembrava imbattibile ma era alla nostra portata. Ma ora oggi qualcosa in più nello spirito e nella consapevolezza».
Che partita si aspetta? «La distanza in classifica tra le due squadre è notevole oltre che inaspettata. La Juve in estate ha fatto un mercato molto importante, il Napoli sembrava un cantiere aperto, ma avevo grandissima fiducia in Conte. 13 punti di differenza sono tanti in questo momento della stagione ma tra Napoli-Juve può essere una partita della svolta per entrambe. Se il Napoli dovesse vincere consoliderebbe il primato. Il successo di Bergamo è stata una grande testimonianza del valore della squadra».
Merito di Conte? «Antonio ha trovato la sua quadra e i suoi uomini».
Qual è il segreto di questo allenatore? «Conte ti migliora perché ti da fiducia. Fa sentire importante chi gioca e chi gioca meno. Poi nel lavoro fisico ti fa arrivare alla partita sempre pronto. Ti spreme tanto anche a livello mentale. Arrivi sempre con la concentrazione e sai quello che devi fare in campo. È un allenatore che sa darti qualcosa anche dal lato umano: ti chiama per nome ed è importante per un giocatore, ti fa sentire parte integrante».
A lei cosa ha dato di più? «Mi ha cambiato le caratteristiche tattiche. Partivo esterno e sono diventato un’ottima mezzala. Prima privilegiavo l’uno contro uno ma poi sono diventato incursore. Per giocare in quella posizione ha adatto le mie caratteristiche. Ha accresciuto il mio bagaglio tecnico e tattico e mi ha allungato la carriera».
Le ha anche fatto cambiare cognome... «Sono diventato Giaccherinho dopo un gol di Juve-Bologna in coppa Italia. Era la partita della consacrazione perché mi aveva voluto tantissimo alla Juve, andando anche un po’ contro l’opinione pubblica, ma quella prestazione dimostrò a tutti che quella scelta era stata azzeccata».
Lei fu protagonista anche della Nazionale di Conte all’Europeo 2016. «Diciamo la verità. Nel 2015 giocavo in Inghilterra e lui mi chiamò chiedendomi di tornare in Italia per seguirmi da vicino e in vista dell’Europeo. Ebbi la fortuna di trovare il Bologna quasi sul gong del calciomercato e feci un campionato pazzesco».
Ma chi è Giaccherinho del Napoli di oggi? «Per caratteristiche direi più McTominay perché a me piaceva tanto ripartire e cercavo tanto di inserirmi dentro l’area. Ma dal punto di vista tattico direi più Anguissa. Perché io ero più continuo all’interno della partita».
Chi sono i giocatori del Napoli che secondo lei rappresentano più di tutti le idee di gioco di Conte? «Anguissa, McTominay e Di Lorenzo sono l’emblema del suo calcio. Di Lorenzo ha giocato sia a 3 come centrale che a quattro, ma si è adattato anche da quinto a centrocampo. Anguissa si è evoluto facendo meno costruzione e interdizione e cercando di trovare quei gol che Conte vuole dai suoi centrocampista. Mentre Scott è arrivato a Napoli e si è messo subito a disposizione, lavora tanto in silenzio ma è concreto».
Nota delle differenze tra il Conte che aveva lei e quello di oggi? «Sia nella Juve che in Nazionale le mezze ali dovevano fare un lavoro diverso rispetto a quello di Anguissa e McTominay che adesso vanno entrambi nell’area di rigore avversaria».
Ci racconti una cosa poco nota di Conte... «Vive malissimo la sconfitta. Ora non so se ha fatto dei passi in avanti, ma quando l’ho vissuto io non accettava la sconfitta. Trasmetteva quel suo malessere anche alla squadra. Anche se va detto che non siamo mai entrati in una situazione di crisi perché la partita dopo la vincevamo subito».
Il Napoli è reduce dalla vittoria di Bergamo contro l’Atalanta, ma secondo lei la lotta scudetto è oramai solo una pratica a due tra azzurri e Inter? « Non credo che l’Atalanta sia del tutto fuori dai giochi scudetto. Ha dimostrato di poter vincere anche 11-12 partite di fila e in Champions ha dimostrato di aver ritrovato subito la forza. Ad oggi Inter e Napoli sembra che abbiano qualcosa in più. Sarà una bella sfida e un bel campionato combattuto fino alla fine».
E invece che idea si è fatto della Juventus così attardata rispetto alla vetta? «Thiago Motta ha avviato un processo per il quale ci vuole tempo. Sono ancora imbattuti in campionato e hanno fatto tantissimi pareggi. Sta mancando un po’ l’attacco della Juventus. In passato avevano giocatori che ti risolvevano situazioni scomode, penso a Higuain o a Tevez. Ora sta mancando un po’ Vlahovic. Al di là del gioco servono i gol del campione che ti fa vincere la partita anche un po’ sporca con una magia. Alcuni nuovi giocatori, pagati anche tanto, stanno facendo fatica a rendere secondo le aspettative che invece c’erano. Per me la cosa positiva sono i giovani che sta coltivando».
Fonte: Il Mattino
