L’arte di confondere, da Spalletti a Kvara

Dalle parole del CT alla lettera d’addio del georgiano

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Come si legge dall’odierna edizione della Gazzetta dello Sport, il termine supercazzola è entrato nell’autorevole Vocabolario Treccani, con il significato di “frase priva di senso pronunciata con convinzione, al fine di confondere l’interlocutore”. A battezzare la supercazzola fu il conte Mascetti (Ugo Tognazzi) nel primo “Amici miei” di Mario Monicelli (1975), quando cercò di impedire al vigile Paolini di fare una multa all’architetto Melandri (Gastone Moschin). Mascetti: “Tarapìa tapiòco! Prematurata la supercazzola, o scherziamo?”. Vigile: “Prego?”. Mascetti: “No, mi permetta. No, io… scusi, noi siamo in quattro… come se fosse antani anche per lei soltanto in due, oppure in quattro anche scribài con cofandina? Come antifurto, per esempio?”. Il povero vigile andò in confusione. Come andò in confusione il povero Renzo nei “Promessi sposi” davanti al latinorum dell’Azzeccagarbugli, perché la supercazzola è un’arte vecchia come il mondo. La politica, per esempio, abile nel parlare per non dire nulla, la pratica generosamente. In Senato, Matteo Renzi ha accusato di supercazzola il neo-ministro della Cultura, Alessandro Giuli, reo di averne abusato mentre illustrava le linee guida del suo programma: “L’infosfera globale… l’apocalittismo difensivo…” Come fosse antani, appunto. Ma anche il calcio non scherza.

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LA SUPERCAZZOLA NEL CALCIO

In questo periodo di calciomercato, qualsiasi direttore sportivo venga intercettato, abbozza risposte che quasi sempre rasentano la strategia Mascetti: “Rosa competitiva, prematurata… noi a posto, ma se occasione, tarapia tapioco… pronti a intervenire, come se fosse antani… affare buono con scappellamento a destra”. Per non parlare dei commenti di inizio stagione al calendario appena estratto: “Tanto dobbiamo incontrarle tutte”. Tarapia tapioco. Affezionati clienti della supercazzola sono gli allenatori quando devono rispondere sugli obbiettivi stagionali: “Giornata per giornata… cammino lungo e posterdato per due, come fosse antani classifica… Scudetto scribai? Con confandina per quattro”. Il più dotato artista della supercazzola pallonara resta comunque Luciano Spalletti, toscano come il conte Mascetti e, come lui, fornito di favella immaginifica. Alle conferenze stampa dell’Europeo, ci siamo trovati spesso con lo sguardo confuso del vigile Paolini: “Perché se noi poi si sbaglia gli atteggiamenti… sicché noi si ha sempre la bischerata in canna… che poi gli avversari, sì, ma a noi ci manca un po’ di scocca… che però ci abbiamo Chiesa che ha la fucilata nella notte… che poi è bello festeggiare uno sull’altro, come allo shanghai…”. Ma anche il suo predecessore, Roberto Mancini, era un notevole specialista in materia. Senza un riferimento esplicito all’offerta araba da 25 milioni di euro all’anno, la spiegazione dell’addio alla Nazionale si trasformò in un’incomprensibile supercazzola: “Pec con scappellamento a destra… Gravina come fosse antani, per due… Cacciato Evani, staff e sbiriguda della sbrinzellona… Quintana o setta, Coverciano… Trini la confraternita, pulitina! Ho chiesto di togliere la clausola, come se fosse anche un po’ di Casentino… Mancava fiducia e tarapia tapioco che perdura anche come cappotto… Vede?”. Molti tifosi napoletani si sono commossi per la lettera d’addio di Kvaratskhelia, in partenza per Parigi; molti altri invece, forse perché addolorati dalla partenza a sorpresa, l’hanno trovata vuota, priva di sentimento autentico. Si legge in un commento on line: “Sempre le stesse parole retoriche, mi dispiace, ma devo dirlo: è un inutile e patetico copia e incolla di tutte ste lettere di addio e ringraziamento uguali per tutti i calciatori di tutte le squadre di Serie A e oltre”. Una supercazzola, insomma. C’è da dire che a volte una scappatoia alla Mascetti è quasi obbligata. Cosa può dire di diverso un povero terzino che si trova in vantaggio all’intervallo, intervistato al volo? “Buon primo tempo, ma la partita è lunga. Avanti così e cerchiamo di chiuderla”. Sbiriguda.

“MELINA”

E poi c’è la supercazzola tattica, storicamente definita “melina”, termine derivato da un antico gioco di bambini che si passavano un cappello per non farlo arrivare al proprietario. Quando il possesso, o la chiacchierata costruzione dal basso, non mirano a creare superiorità e a risalire in fretta il campo verso il gol, ma diventano un pretesto per difendersi e non lasciar palla all’avversario, il calcio diventa supercazzola. Dire per non dire, giocare per non segnare. L’imprevedibile involuzione del Manchester City di Guardiola è stato l’esempio più clamoroso. Era una macchina da gol, nel lungo periodo di crisi stagionale, è diventato un torello di massa senza porte, un giro palla senza sbocchi. Come fosse antani, appunto. Anche l’ambiziosa Juve di Thiago, spesso estenuante nel palleggio basso, incapace di raggiungere Vlahovic, è incappata in un calcio alla conte Mascetti, detestato da Fabio Capello e da Claudio Ranieri che ha spiegato in modo limpido: “Per me il gol ideale è il lancio del portiere per il centravanti che fa gol”. Antidoto al rischio della supercazzola palleggiata è la verticalità feroce, esaltata dal Liverpool e dalle frecce della Liga: Vinicius, Mbappé, Raphinha, Yamal… Conte Antonio, che non è il conte Mascetti, ha scatenato il verticalissimo Neres. Ma se gli chiedi se il suo Napoli è da scudetto, attacca con la sbiriguda.

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