NELLE TRE STAGIONI AL NAPOLI IL GEORGIANO HA VISSUTO ALTI E BASSI, MA HA PORTATO VALORI TECNICI ED ESTETICI CHE HANNO IMPREZIOSITO LA SERIE A
Le persone passano e lasciano qualcosa negli altri (e dagli altri prendono qualcosa). Ognuno lascia un po’ di sé e si prende un po’ di noi. Il calciatore lavora e scava nelle emozioni e nei sogni: è il suo compito di mito moderno. Fra le emozioni la più positiva è l’esperienza della bellezza che ci modifica quando la riconosciamo fra i vari stimoli. È forse la più naturale, non ha bisogno di un vissuto, turba con il suo apparire. Per questo “la bellezza ha il potere di suscitare un dolore inaccessibile ad altre tragedie”, quando sentiamo di perderla, quando la vediamo passare: fu il furto a Cormack McCarthy che compimmo qualche mese fa, spaventati dal corteggiamento arabo a Dybala. Oggi possiamo elaborare, oggi è per sempre, il viaggio di Khvicha Kvaratskhelia è l’addio. Parte per guadagnare di più, per obiettivi sportivi che sente superiori, sentirà forse l’acciacco di un rimpianto ma non la necessità di tornare.
IL DOLORE DELLA PERDITA
Non possiamo chiedere al tifoso di mostrare la sofferenza del vuoto. Lui ha la squadra, i colori, il battesimo eterno della scelta fanciulla: la squadra del cuore. Il Napoli (in questo caso) ha costruito con tante altre emozioni il senso della sua vita: lì torna, lì resta. E non possiamo chiedere ai dirigenti, che soccorriamo con i numeri: 75 milioni! (Abbiamo sostituito il racconto con la Ragioneria). Ma non dobbiamo (e succede) metterci a pesare quello che è stato Kvara solo con un diluvio di statistiche che confermano una delle tante impressioni (l’appannamento della Primavera dello Scudetto, il calo della seconda stagione – nettamente minore in lui che negli altri e nella squadra in generale, anche questo andrebbe scritto e ponderato) ma che non spiegano niente della necessità che ci tiene avvinti sul calcio. Noi dobbiamo scrivere di questa perdita. E valutarla per quel dolore inaccessibile ad altre sottrazioni perché è bellezza che se ne va.
L’INGRESSO NELLA MODERNITÀ
Incompiuto, incompleto, ma Kvara è stato “bellezza”. In quel verso ci ha colpiti, subito perché la bellezza è immediata e questa evidenza è un modo per riconoscerla. È arrivato dai margini del mondo, un vento, un uragano alzato dalla polvere della terra. Con l’età del ragazzo e la forgia del reduce. Ha combattuto, sempre: quella lotta lo ha reso sopportabile negli eccessi individuali. Divideva l’azione: c’era un prima e c’era un dopo il suo tentativo, nel suo muoversi per avvicinare la partita al gol, senza mai rimandare il tentativo: semmai rallentava il tempo come nei duelli western dei film di Sergio Leone, quel tempo sospeso che serviva solo per subirne poi lo scoppio, lo sparo (della rivoltella), la mossa di Kvara. Se rallentava era per esaltare l’accelerazione. È arrivato portando questo senso primitivo del gioco (ti attacco, ti supero, ti scaravento fuori dalla scena: i giocatori saltati dal georgiano sembravano sparire dall’azione, inghiottiti nella sconfitta definitiva). E mostrandolo come ingresso della modernità: l’esterno che strappa, che crea superiorità, che segna, che trascina, che disallinea per preoccupazione le difese, che disturba il pensiero lineare di una difesa d’insieme.
LA FINESTRA DI CARAVAGGIO
Provavano a fermarlo, era già oltre. Si lasciava il campo alle spalle come una traiettoria di vita, toglieva gli avversari dalle gambe come ci si libera di una catena, di un passato da dimenticare: è la voglia di futuro che forse lo ha portato via in fretta. Khvicha Kvaratskhelia arrivò che non sapevamo come pronunciarlo, e dopo tre partite non sapevano come fermarlo. È stata luce. La sua azione sembrava accumularne, mettendo in ombra il resto del campo, una corrente luminosa così abbagliante da oscurare il resto. La finestra aperta di un quadro di Caravaggio: giocava in quel solco di sole. Anche la contemplazione, anche l’estasi (che fu di tutti, rapiti dalla sua partita in mezzo alle molte combattute dagli altri) è un’altra e indubbia prova che fu bellezza, e riguardò i sensi. La Serie A saluta questo splendore. Un filosofo che rinunciò a scrivere della bellezza si giustificò spiegando che parlarne è un po’ tradirla perché nei suoi confronti siamo spettatori incantati. Eppure qualcosa va trattenuta, quando passa la bellezza.
Fonte: La Gazzetta dello Sport
