«Sto esaudendo il mio sogno: stare su una panchina ad allenare i miei nipoti. Per adesso è quello che voglio. È un Natale particolare, lontano dagli sfarzi italiani: sono a Nairobi da mia figlia Carolina che lavora all’Onu e con tutta la mia famiglia. In Africa il tempo si dilata, non c’è la frenesia delle nostre parti. Ma ogni volta che c’è una partita trovo sempre un posto dove vederla».
Cesare Prandelli non è mai stato un allenatore come gli altri. Quando era ct ha preso la Nazionale e l’ha ha portata ad Auschwitz, in Calabria sui campi confiscati alla ‘ndrangheta e ad allenarsi con una squadra che era stata sottratta alla camorra a Quarto. «Adoro Antonio Conte, lui allena l’anima dei calciatori. Come facevo io. E come farei io se tornassi ad allenare».
Prandelli, allenare l’anima fa diventare più forti?
«Certo, è come avere un altro guerriero al tuo fianco. Chi ha Conte sa di avere dalla propria parte uno che per lui dà tutto, anche quando sbaglia. Antonio parla con l’anima e questa cosa non fa sentire mai soli. Difficilmente trovi qualcuno che è stato con lui e che ne parla male: brucia energie, poi ovvio che ha bisogno di ricaricarle. Ma ha sensibilità, cuore, senso della vicinanza. E comprende. Io le sue parole quando ho deciso di non allenare più le ricordo ancora».
La chiamò quando ha detto “smetto”.
«Le sue frasi erano profonde. Magari c’è chi ti chiama perché deve farlo, dopo tanti anni vissuti a condividere il campo, ma lui non fece una chiamata banale. Ho capito davvero chi è Antonio Conte con quella telefonata, l’immagine che c’è di lui non è quella giusta».
Può vincere lo scudetto?
«Se dico di sì, si arrabbia; se dico di no, so che si arrabbia. So che il lavoro fatto fino ad adesso a Napoli è un capolavoro. Bisogna riconoscere delle capacità straordinarie di gestione del gruppo e dell’ambiente. Ma anche della società».
C’è un altro come Conte in giro?
«Dico: Thiago Motta. Anche lui con la sua personalità, con il suo carisma, sa toccare corde profonde, sa come arrivare alla testa di un calciatore. Insomma, riesce a ottenere sempre quel qualcosa in più».
La passione, mi sembra, che lei non l’abbia perduta?
«Ma forse ne ho persino più di prima. Mi stanno chiamando in tanti, ma nessuno mi ha fatto cadere in tentazione. Devono trovare gli argomenti giusti per convincermi, qualcuno che comprenda quale è il codice segreto per riaprire la mia cassaforte».
Lo sveli lei.
«Non vale. Ci devono arrivare da soli. Io aspetto, senza ansia».
Chi quelli con la stessa passione?
«La mia generazione. Sono cresciuto con Spalletti, Ancelotti, Gasperini, Pioli, tutta gente che ha fatto la gavetta vera: io prima di avere una panchina, ho lavorato nel settore giovanile dell’Atalanta. E tutti quelli come me hanno avuto percorsi pieni zeppi di curve. Ecco, è quello che manca ai nostri giovani allenatori: pronti, via e li vedi seduti a guidare in serie A».
Gasperini, detta così, merita di essere il favorito per lo scudetto?
«L’Atalanta è matura per vincere il campionato. Io credo che loro vincendo l’Europa League abbiano assaporato il sapore straordinario della vittoria. Gasp dimostra, sempre, di saper giocare bene, ma adesso non gioca più per il gioco. Ha capito che vincere ti inebria, che è bello vincere giocando bene ma senza averne l’ossessione. Come invece sembra esserci negli ultimi tempi».
Un po’ quello che succede nel nostro campionato?
«Sì, Conte per esempio: un passaggio in più o in meno non è l’essenza del gioco, è andare in gol quello che conta più di ogni cosa. Ed è la vittoria che ti entra dentro, non il bel gioco fine a se stesso. Certo, se vinci dando spettacolo è l’apoteosi. Ma non dura molto: è bello anche vincere come ha fatto il Napoli a Genoa. È la vittoria che ti resta dentro e ti dà benzina per lavorare bene tutta la settimana».
In effetti, in tanti stanno voltando pagina.
«Il Napoli di Conte ma anche l’Inter con Inzaghi e la Lazio con Baroni stanno badando a un concetto che non deve essere considerato offensivo: la concretezza. Tutti conoscono i sistemi di gioco, quelli bravi prendono i calciatori che hanno e li adattano alla soluzione migliore. Perché l’unica cosa che conta, è fare gol».
Può essere un 2025 di svolta?
«Stiamo cercando l’esasperazione concettuale: il calcio è praticità, sennò i tifosi si annoiano… ai miei tempi quando mandavi il pallone indietro a Zoff o a un qualsiasi portiere, lo stadio fischiava. E io temo che prima o poi si stufino. Io vorrei una direttiva che stabilisca che una volta che si inizia la manovra, il pallone non può più essere passato all’indietro. Lo dico da innamorato: non se ne può più. Molte squadre sono retrocesse perché i loro allenatori dovevano essere moderni…».
Palladino, Italiano sono la nuova generazione?
«La meglio gioventù verrebbe voglia di dire: la Fiorentina ha cambiato tutto, propone un gioco in maniera diversa ma con un grande collettivo. E Italiano si è preso un bel rischio: accettare Bologna l’anno dopo la conquista di un posto in Champions. Sapendo bene che ripetersi non è semplice. Come è capitato al Napoli lo scorso anno».
Ranieri ha avuto un bel coraggio a riprendersi la Roma.
«Lì c’è di mezzo l’amore immenso, sviscerato che Claudio ha per quei colori, altrimenti prendersi una simile gatta da pelare non avrebbe avuto senso. Però lui può essere la salvezza della Roma: se c’è Ranieri, tutti pensano che ci deve essere anche un progetto. È una garanzia per il futuro».
Domenica c’è Napoli che affronta il Venezia. È come Davide contro Golia?
«Non scherziamo. Vero che questo campionato è diviso in tronconi ben distinti, dove Parma e Torino stanno deludendo le aspettative, ma soprattutto le partite durante i periodi di feste sono sempre molto insidiose per chi pensa di essere favorito. Poi ho visto il Napoli: tante volte ha questa voglia di fare le cose in maniera veloce, all’inizio attacca gli spazi e mostra il fianco, si espone al contropiede ed è pericoloso farlo contro il Venezia».
Kvaratskhelia o Neres?
«Decide Antonio. Sono offensivi, ma con caratteristiche diverse: possono sparigliare tutto. E queste faccende sono delle risorse per un tecnico, mai un problema».
Lukaku tornerà quello di prima?
«Secondo me sta cominciando a trovare ora la condizione che gli è mancata. Ora, nessuno me ne voglia: ma quando ti ritrovi con Antonio, ovvio che lui ti chieda una intensità diversa. Che magari per un anno o anche due non hai avuto. Mi sembra che si stia mettendo a lucido…».
Dal mercato di gennaio giusto che Conte si aspetti qualcosa?
«Sono talmente rari gli innesti di titolari in una sessione invernale che penso che pure il Napoli farà qualcosa per completare la rosa. E null’altro. Certo non per mettere mano all’undici titolare».
A Venezia ha vinto un campionato.
«Dissi a Zamparini che se non miglioravamo in due zone del campo, a metà stagione saremmo retrocessi di nuovo in B. Lui non mi ascoltò. Mi chiamò lo stesso per rinnovarmi il contratto ma io me ne andai».
Fonte: Il Mattino

